Fratello mio,
Affido questa lettera alle mani fedeli di Aloisio, con la raccomandazione di consegnartela al riparo da occhi indiscreti. 
Avrei voluto presentarmi a te di persona, ma le mie ferite faticano a guarire, malgrado le mani pazienti dei maestri: ti chiedo perdono, dunque, per la pena che sto per arrecarti con le mie parole.
Una missiva senza ambasciatore è giunta alla porta delle nostre nobili case, torva e tentatrice.

“E voi, insulso retaggio di ciò che un tempo furono i vostri avi, chinerete il capo in cieca obbedienza.” – “Non fatemi attendere.”
Non trascrivo altro di ciò che ho letto, nello sventurato caso in cui queste righe non dovessero giungere nelle tue mani. 
Un potere oscuro si dichiara più forte della terra dell’Impero e dello spirito del Dogma, e reclama Viqueria come propria. Forse, mentre leggi, ti sarà già giunta notizia di ciò che è successo alla Villa delle Bambole: un servo di questo re senza corona ha tentato di piegarci al volere del padrone, tra quelle mura maledette. Non vi è riuscito, ma il ricordo delle fiamme gelide che bruciano la pelle, sotto la cotta di maglia, e delle urla, è quel che basta per strapparmi ogni boria. 
Non posso mentirti, Enrico: ciò che ho visto ha il colore del sangue e dell’odio – temo che una notte lunga e buia stia per calare sulla nostra amata Città.  
Tuttavia, a piagare di più il mio spirito è la mia inadeguatezza. Ho fallito. 
Ho avuto l’occasione di dimostrare il mio valore ai miei compagni di Caccia, e l’ho sprecata. Ancora di più, le mie azioni sconsiderate hanno messo in pericolo la vita dei nostri famigliari.

Mentre scrivo, riesco a immaginare la piega secca di rimprovero nella tua voce. Il Male attende e attecchisce, nascosto in ogni dove, e tu piangi la tua inettitudine? 
C’è dell’altro. 

Come oramai di certo saprai, i Sannazzaro hanno abbandonato il Castello di Valle Scuropasso, e ora dimorano entro le mura di Viqueria. Là, tra i corridoi di quel maniero perduto tra i boschi, mentre noi Cacciatori attendevamo che Filippo Sannazzaro ci ricevesse, un valletto poco più che bambino ci ha mostrato il salone degli arazzi. 
Tra i tessuti che narravano della storia più recente della Famiglia Sannazzaro, uno soltanto recava con sé il racconto di un’antica rovina – sono trascorsi molti giorni, eppure non riesco ancora a lasciarmi alle spalle l’inquietudine che ho provato dinanzi a quella vista: un filato nero di lane e sete pregiate, steso a perdita d’occhio, e poco oltre i contorni di un castello avvolto dalle fiamme. 
Ho chiesto al valletto cosa rappresentasse quell’arazzo: il disastro, mi ha detto con voce sottile.
Non sono riuscita a scoprire altro che questo: in passato, il castello dei Sannazzaro è stato distrutto da un incendio indomabile – e ora un atroce sospetto rode i miei pensieri come un tarlo, un sospetto che non oso vergare su questa pergamena, per timore di renderti mio complice.
Se puoi, conduci una ricerca per me: porta alla luce la storia della Famiglia Sannazzaro, trova ciò che è stato scritto sul terribile disastro. Traccia una loro genealogia, per quanto ti è possibile reperire, e presta particolare attenzione alla discendenza di Filippo… e a quella di Alessandro.
Mi appello alla tua saggezza, alla tua conoscenza e alla tua discrezione.
Brucia questa lettera quanto prima. 

Non trascorre un giorno senza che io pensi a Bartolomeo.
Sempre tua,
Petra

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